Risulta essere forse la locuzione di più immediata comprensione in economia; il nome stesso valore aggiunto esplicita già da solo
chiaramente ciò che intende denotare, il valore, aggiunto a qualcosa, per effetto di qualcos’altro.
Tuttavia, se risulta chiaro che, in quanto “aggiunto”, tale valore debba essere immaginato come differenza fra un valore
finale e un valore iniziale, dubbi possono sussistere in merito ai due estremi.
La formula classica definisce valore aggiunto la differenza fra il valore della produzione e il valore dei prodotti intermedi.
Il primo termine della differenza non coincide pertanto con il fatturato, poiché esso esprime “soltanto” il valore delle
vendite, non quello globale della produzione. Per ottenere questo, bisogna aggiungere algebricamente, ossia con il segno opportuno, la variazione delle scorte. Un loro incremento indica infatti un valore della produzione superiore al fatturato; una loro diminuzione, un valore inferiore.
Per quanto riguarda poi i beni intermedi, bisogna tenere conto che vengono così definiti i beni di produzione a uso immediato, ossia quelli che partecipano a un solo processo produttivo (la farina che diventa pane) o che in quello si distruggono (carburante).
Bisogna quindi rifuggire da eccessive semplificazioni che considerano il valore aggiunto come la differenza fra fatturato
e costi di produzione. Al primo bisogna aggiungere la variazione delle scorte; dei secondi bisogna tenere conto soltanto
nella misura dei costi per l’acquisto di beni intermedi.
Compreso dunque quale sia il contenuto concettuale, bisogna esaminare da chi o da cosa tale valore venga aggiunto. Se
si considerano tutti gli elementi che intervengono in un processo produttivo, si constata che oltre ai beni intermedi vengono impiegati beni capitali (impianti, attrezzature, macchinari), lavoro e terra; i cosiddetti fattori della produzione, i
quali mescolati insieme in giuste proporzioni trasformano i beni intermedi in prodotti destinati alla vendita. Il valore
aggiunto risulta essere quindi il maggior valore conferito ai beni intermedi dalla partecipazione alla produzione di ciascuno di questi fattori.
A ognuno di essi, spetterà quindi come remunerazione una quota più o meno importante del valore aggiunto totale: ai
lavoratori spetterà il salario, agli imprenditori i profitti, ai capitalisti gli interessi e ai proprietari terrieri la rendita.
Il valore aggiunto può essere calcolato indifferentemente a livello di impianto, di azienda, di settore. A livello di contabilità nazionale, la somma del valore aggiunto prodotto in ciascun ramo dell’economia determina l’entità del prodotto
interno lordo.