L’unione fa la forza, recita un noto adagio. Lo sanno bene gli atleti che giocano in una squadra; lo sanno bene i dirigenti d’azienda che invitano i propri collaboratori a fare ; e lo sanno bene anche le imprese. Il fatto è
che per esse il principio non vale sempre: hanno scelto di correre da sole, e da sole perlopiù devono pedalare. Ci sono
accordi infatti che non possono stipulare, perché falsano il gioco della concorrenza; come risulta falsata una corsa ippica
se i fantini si mettono d’accordo per spartirsi il premio spettante all’outsider. Ma mentre all’ippodromo a perderci sono
gli spettatori, sul mercato a rimetterci sono soprattutto i consumatori: l’accordo anticoncorrenziale (quello che fa catenaccio contro l’attacco della concorrenza) consente alle imprese che vi partecipano di vendere una quantità inferiore di prodotti a un prezzo più alto di quello che potrebbero richiedere se operassero in concorrenza, cioè ciascuna per conto
proprio.
Gli accordi anticoncorrenziali possono assumere tante forme. Una di queste è il trust, celebre perché provocò negli Stati
Uniti alla fine dell’800 l’emanazione di una legge, lo Sherman Act, che dichiarò vietate tali forme di accordo fra imprese.
Costituendo un trust, le imprese più grandi che operano in un mercato affidano la responsabilità della propria gestione a
un unico organo direzionale. Coordinando il comportamento delle partecipanti, l’organo centrale di direzione definisce
le strategie che ciascuna impresa deve seguire soprattutto in materia di prezzi e di quantità, in modo tale da consentire al
trust di agire come monopolista di mercato e guadagnare di conseguenza profitti più alti del normale. I più elevati utili
conseguiti dal trust vengono quindi distribuiti fra le imprese che ne fanno parte in proporzione alla partecipazione; i
profitti della singola impresa risultano così superiori a quelli che sarebbero stati conseguiti se avesse operato in concorrenza con le altre partecipanti al trust.
Il trust è anche un negozio di diritto anglosassone, in base al quale una parte, detta beneficiaria, trasferisce suoi diritti di
proprietà a un’altra, detta fiduciaria, la quale è tenuta a gestirli nell’esclusivo interesse della prima.